Per quanto voi vi crediate assolti, Siete per sempre coinvolti
(Fabrizio De André – Canzone del Maggio)

Il mio esilio (IN) volontario

Tra il mese di luglio e il mese di novembre 2010 uno tzunami ha totalmente devastato la mia vita professionale e privata.
In quel breve arco di tempo è stato stroncato il mio futuro accademico (costruito con dedizione e passione per 16 anni; anni in cui le aspettative di carriera sono state opportunisticamente dichiarate, lasciate sperare e, per egoistico interesse, sempre regolarmente procrastinate, finché puntualmente disilluse, dall’ordinario di riferimento e da altri esimi mentori collegati.
Pochi mesi dopo è morto il mio amato papà che, insieme a me, idealisticamente, aveva sognato la meritata mia carriera accademica, in questo Paese.
Nell’annus horribilis 2010-2011 ho perso definitivamente la fiducia nella onestà e nella correttezza delle figure ai vertici delle istituzioni di questa sempre più miserevole Italia e quella parte innocente di me che mio padre, con idealismo d’altri tempi, aveva coltivato, quale più autentica ragione della sua e della mia esistenza.
Il rapporto di fiducia che, ingenuamente, avevo creduto di aver istaurato con chi collaboravo accademicamente da lunghissimo tempo si è spezzato per sempre il 7 e 8 luglio 2010, miserevolmente svenduto e cinicamente tradito.
La ferita più dolorosa e tutt’ora permanente è nella certezza che tutto è stato condotto secondo il principio marcio della furbizia e del tornaconto.
A tale vulnus destabilizzante, solo pochi mesi dopo, si è aggiunto il colpo di grazia del dolore indicibile per la morte di mio padre, al quale non ho potuto rispar-miare la sofferenza e la enorme amarezza del tradimento subito.
Il 23 novembre 2010 mio padre è morto, accanto a me.
La maggioranza degli emeriti, ‘ordinari’, dalla supposta, specchiata deontologia professionale, che hanno spezzato il mio futuro, non si è degnato di inviare neanche una riga di formali condoglianze. Dando così conferma manifesta al motto di Tacito di come sia “proprio della natura umana odiare colui al quale si è recato danno” (Agricola, 42).
Per mia consolazione altri studiosi (di maggior rilievo e sicuramente più degni di questo titolo) mi hanno viceversa rivelato la ben più esemplare nobiltà del loro animo.
Tra i rari colleghi non omologati, della Università per Stranieri e di altre universi-tà italiane, anche l’allora rettore della Università per Stranieri prof. Stefania Giannini (ad oggi ministro dell’istruzione e dell’università) ha espresso la sua partecipazione al mio immenso dolore.
Alla sua lettera, del Gennaio 2011, seguì una mia e-mail riassuntiva della infame storia, comprensiva di una dettagliata lettura degli ‘ambigui’ verbali del concorso che qui di seguito entrambi riporto*; a futura memoria, come testimonianza di profondo affetto verso mio padre e di rispetto per la enorme sofferenza da lui vissuta, insieme a me e a causa della immeritata sconfitta.

La mia desolante vicenda concorsuale rappresenta quasi una parabola del contemporaneo, parallelo declino accademico italiano culminato in questi ultimi anni.
La sola cosa che appena mi solleva è la constatazione che a mio padre sia stato risparmiato il dover vedere e soffrire un tale decadimento culturale del proprio Paese per il quale tanto s’era impegnato sin dalla giovinezza, con quel rigore morale, ispirato al più autentico spirito cristiano, che costituiva il suo codice etico e che ha guidato tutta la sua esistenza.
Al mio papà, per grazia di Dio, è stato risparmiato anche l’epilogo di questa ennesima squallida storia accademico; nonché il ridicolo epilogo dell’epilogo! Con strascichi recenti.
Il primo colpo di scena, che meriterebbe una rappresentazione teatrale, è avvenuto otto mesi dopo il concorso. Il 19/2/2011, COLMO DELLA TRAGICA FARSA, ho saputo da uno dei pochi docenti fidati, che nessuno dei due idonei che sono stati messi ‘in cattedra’ (di cui uno non appartenente al settore disciplinare specifico per cui il concorso era stato bandito) sarebbe stato assunto dalla università per Stranieri di Perugia che aveva bandito il concorso e richiesto il posto d’associatura per Filologia Italiana!!! Essendo i concorsi, fino a quella data, a doppia idoneità, un vincitore è stato chiamato a svolgere docenza presso la seconda Università di Napoli e l’altro, trovandosi nella Università di Torino lì è ri-masto. Ovviamente forse soltanto, come trampolini di lancio, poi chissà! Magari a breve, di nuovo, uno dei due si sarebbe rimaterializzato presso la cattedra perugina per ricoprire l’associatura di Filologia itaiana! (Come poi è stato e non ci voleva la sfera di cristallo per immaginarlo!).
Perciò, come mi disse testualmente il suddetto docente ordinario: “Il concorso d’associatura per Filologia Italiana dell’Università per stranieri era solo una tavola imbandita per altri, che hanno pranzato a nostre spese!”.
Misteri occulti ma neanche troppo; ciò che è chiarissimo invece è il ruolo indecoroso di chi, con tutta evidenza, mi ha svenduta (dopo aver abilmente sfruttato il mio operato per 16 anni) in cambio di più vantaggiosi scambi.
Viene a galla solo fango in questa povera università italiana; quando poi, fra non molto, avranno finito di spremere tutto e tutti se ne andranno lasciando il deserto.
Nessuna novità; soltanto un’ulteriore vicenda di ‘ordinario’ squallore, assimilabi-le a quella di molti altri ricercatori italiani traditi, dopo intensi anni di collabora-zione scientifica e didattica, dalla “ordinaria” ipocrisia dei vertici accademici.
Per empatia meglio si capisce la amara disillusione altrui quando, come il dolore per la morte di chi ci è caro, essa ci precipita addosso.
La mia vita, non solo accademica ma privata, è da lungo tempo dimidiata: sono stata doppiamente sconfitta; per due volte interiormente morta.

Credo che ci si possa salvare soltanto con una sana fuga, spirituale e mentale, in più salubri terre, almeno dal punto di vista del mondo universitario. Così è stato.
Dall’ottobre 2010 ad oggi sono in permesso di studio e ricerca (concesso, approvato e per due volte rinnovato) dal Consiglio Accademico della mia Università; ricerca svolta negli USA, presso la Houghton Library della Harvard University.
Ricerca che spero di portare avanti anche in futuro, considerate le ottime condi-zioni in cui ho potuto e posso svolgere il mio lavoro.
Si tratta, tuttavia, di un esilio involontario, scelto forzosamente per non avere più alcuna aspettativa di carriera nel mio Paese e nessuna fiducia in chi ha tolto a me la ‘sua’ fiducia, privandomi pilatescamente della cattedra universitaria. Una fuga obbligata, amara ma inevitabile, per non tollerare oltre di svolgere docenza in una situazione indecorosa, senza una dignitosa collocazione accademica, a seguito di quella che da più parti è stata ritenuta una pugnalata alle spalle; una palese ingiu-stizia, nel tipico ‘stile’ di certa accademia italiana
La scelta di allontanarmi fisicamente, ancor più che psicologicamente (cosa assai più ardua), dal luogo dove dolore e delusione avevano la loro fonte e il loro alimento, ha costituito l’unica possibilità di sopravvivenza psicologica.
Penosa, umiliante e ormai insostenibile sarebbe stata anche solo l’idea di ritrovarmi in mezzo a coloro che con totale cinismo mi hanno letteralmente ‘buttata fuori’.
I tanti mesi che sono seguiti alla morte di mio padre, nella totale indifferenza e nella silente ipocrisia, hanno acuito la lucida consapevolezza dell’inganno e reso ancora più profonda la ferita che è, e sarà, irrimarginabile.
Mi sono sentita beffata e tradita. Vivere un tradimento, che prima d’essere professionale è stato un tradimento umano, dopo così tanti anni di leale collaborazione scientifica è stata una pugnalata che, similmente alla morte, costituisce un punto di non ritorno.
Annichilita dal dolore ho vissuto, e sto vivendo, un tempo ‘sospeso’: divisa tra la nostalgia del mio amato lavoro, dei miei studenti, da una parte e la fortissima esi-genza di fuga dall’altra.
Per due anni un senso di abbandono feroce si è impadronito di me, facendosi sempre più acuto mentre il tempo passava per i segni delle cicatrici e per il vuoto immenso lasciato da mio padre.
Ormai da “bostoniana”, come simpaticamente per confortarmi mi ha definita un caro collega, cerco di guardare le cose alla luce del ricordo di mio padre, non di-sperdendone la memoria e utilizzando la distanza per governarle meglio.
Ai miei studenti che tanto sostegno mi hanno dato, ai rari preziosi amici e colle-ghi che, soprattutto il primo impietoso inverno 2011 e ancora nei freddi mesi dei periodi permanenza negli USA, mi hanno inviato parole luminose che mi hanno riscaldato il cuore e lo spirito, voglio dire apertamente GRAZIE.
GRAZIE per la stima e per non avermi dimenticata nei giorni bui passati, già inghiottiti dallo scorrere implacabile del tempo ma tuttora incancellabili nella mia mente e nel mio cuore.
Il lavoro di ricerca presso la Houghton Library di Harvard University è stato molto gratificante, soprattutto per l’enorme differenza con la mediocrità della situazione universitaria italiana.
Una grande soddisfazione ha soprattutto costituito l’apprezzamento che la mia edizione critica della prima traduzione settecentesca italiana del Paradise Lost di JohnMilton, (edizione costatami cinque anni di lavoro e miseramente ignorata, sia dal mio ‘supposto’ docente di riferimento, presidente di commissione, che da pressoché tutti gli altri ‘emeriti’ docenti della commissione di concorso) ha ricevuto, (sorry for them!), non solo in Italia (da accademici della Crusca) ma soprattutto all’estero, da parte della British Library e di autorevoli biblioteche statunitensi (tra cui le due più prestigiose biblioteche di Harvard).
Forse nella valutazione di questo lungo “ponderoso lavoro” (non sono mie le parole ma di un docente italiano, ordinario di Filologia e Linguistica Italiana!) non ha giocato a favore neanche il dettaglio che quest’opera fosse dedicata non al solito barone-padrone di turno, bensì alla sola persona che mi ha sostenuta nella lunga e faticosa elaborazione (5 anni, scanditi da continui contatti con la British Library) e che rappresenta ciò che di più caro la vita mi ha donato: mio marito Stefano.
Ciò costituisce un lieve risarcimento morale che attenua almeno un poco lo smacco e l’amara disillusione condivisa col mio amato papà, negli ultimi giorni della sua vita; anche la sua espressione sbigottita e sofferente è ormai marchiata a fuo-co nell’anima.
Il dolore assoluto quello non si risarcisce né si potrà risarcire in modo alcuno.
I due gelidi inverni (2010-11 e 2011-12) sono stati metafora perfetta della mia vita, in quei due tristissimi anni, solo l’amore e la stima di poche carissime persone ha potuto farmi sperare in una primavera.
Durissimo è stato anche nei due anni seguenti, e lo è ancor oggi, prendere atto, ormai definitivamente, che gli esimi personaggi ai quali avevi dedicato gli anni migliori del tuo percorso accademico sono così vigliaccamente venuti meno a qualsiasi minima regola del vivere civile; che nessuno di loro abbia almeno una volta sentito il dovere di esprimerti neanche una parola di rammarico per quanto accaduto, dimostrando d’essere, come cantava Fabrizio De Andre’, quasi tutti miserevolmente ‘coinvolti’ nella messa in scena dello scambio accademico e umano.

 

Maggio 2012: il grottesco epilogo dell’epilogo

“Oh felici del proprio errore i giudici miei (…)
felici per sapere non già,
ma per errore e per temeraria arroganza”.

Francesco Petrarca

“Dell’Ignoranza sua e di molti”

Nel maggio 2012 due fatti più o meno concomitanti hanno reso il ‘the end’ della miserevole vicenda, se mai fosse possibile, ancora più squallido e al limite del grottesco.
I fatti appaiono in totale sintonia con le innumerevoli meschinità dell’italietta degli anni recenti, per cui si reso tristemente celebre all’estero il malcostume della politica e anche del sistema accademico di un Paese in cui impegno, meritocrazia e leale collaborazione scientifica sono slogans da campagna elettorale e nient’altro, dietro i quali si cela una congenita abitudine alla strumentalizzazione opportunistica fine a stessa.
Venerdì 25 maggio 2012, in una tiepida giornata di sole, mentre, rientrata in Italia dagli Stati Uniti, mi trovavo in visita al cimitero per un fiore per il mio papà, mi giunse, dopo ben 22 mesi dalla sconfitta concorsuale, la prima telefonata dalla Università per Stranieri; quella che impropriamente, con malcelato rimpianto, chiamavo: ‘la mia università’! A parte lo straniamento per trovarmi in quel luogo al momento della telefonata, ancor più grande è stato lo stupore che mi ha colto nell’apprendere notizia, dalla voce del gentilissimo funzionario dell’ufficio Ricer-ca scientifica, che l’università, considerata la cospicua mia produzione scientifica, (sic!), mi sollecitava, con fervore, a inserire on line, sul sito ministeriale, le mie pubblicazioni del periodo 2004-2010: ovvero il periodo propedeutico alla prova concorsuale e quello in cui più intenso era stato il mio impegno didattico e di ricerca. (Tale operazione era stata da me sempre eseguita, con metodicità fino all’anno 2010).
Anche per la cortese insistenza e partecipazione con cui quel funzionario mi si esortava a farlo, tornando a casa, ho deciso di espletare la pratica. Ho dovuto co-sì paradossalmente prendere atto che la Università’ per Stranieri di Perugia teneva ora in gran conto le mie pubblicazioni scientifiche; inclusa la edizione critica del Paradiso Perduto di circa 500 pagine, pubblicata anche on line, che a ragione posso considerare la punta di diamante dei miei studi. Quegli stessi titoli che, sebbene lodati e apprezzati all’estero, nella ‘mia università ’non sono stati ritenu-ti sufficienti per conferirmi una associatura: cioè il secondo livello della carriera universitaria. Ciò a seguito del giudizio ‘autorevole’ della ‘autorevole’ commis-sione 2010 e con pieno assenso della ‘esimia’ presidente di commissione ovvero: preside di facoltà della Università per Stranieri e mio ordinario di riferimento per 16 anni, in Filologia Italiana, la quale, non paga di avere sottoscritto la mia ‘eliminazione’, ha dato il ‘colpo di grazia’ negando alla sua assistente, detta: “ricercatrice-anziana” (tale è la denominazione con cui spesso si viene ‘lusingati’ ed ‘omaggiati’ esclusivamente nei casi in cui il ricercatore dovrà essere opportunisticamente ‘gravato’ del monte ore didattico spettante all’ordinario) anche il suo voto a favore. Amnesia totale dunque! Buio su lavori di ricerca e studi di anni, ore e ore di didattica (anche al suo posto), di esami e di tesi assegnate e seguite dalla “ricercatrice anziana” (anch’esse al suo posto), pur non spettandole in qua-lità di ricercatore. Tutto cassato in una tre giorni infame.
Poi improvvisamente la ‘tua università’ scopre (sic!) che i tuoi titoli non erano in definitiva così inadeguati e di scarso valore!
Chissà come mai! Non è forse, ipotizzo, perché la sopravvivenza delle università italiane, come succede all’estero, sarà d’ora innanzi, molto più che in passato, de-terminata dalla loro produzione di ricerca e quindi esse saranno valutate per la loro ‘vitalità’ scientifica? Non che il provincialismo della accademia italiana inizi a mostrare i segni del declino? Che un sistema fatto di circoletti chiusi nei loro asfittici settori, cominci a dover prendere atto che i giudizi circolano come pure le idee e le evidenti meschinerie? Non è che emerga sempre più platealmente questa desolante situazione a cui, peraltro, fa da triste contraltare la contemporanea realtà, da più parti evidenziata, che una rilevante parte dei docenti universitari italia-ni (associati e ordinari) possiederebbe una alquanto scarsa produzione scientifica?
Evviva comunque la coerenza di molti ordinari al vertice della accademia italiota, perennemente occupati a discutere di ‘merito’ ed ‘eccellenze ’per poi buttarli al macero al momento opportuno e magari, nuovamente, ‘riscoprirli’ quando serve e viene utile. Della serie: usa e getta!
Insomma, dopo il danno la beffa!
Alla fine non rimane che farsi estorcere a malavoglia pure uno sghembo sorriso, constatando la veridicità della ormai celebre frase satirica di ‘Littizzettiana’ memoria: “quello che ho è la fuga dei cervelli. Quello che non ho è l’esodo dei pir…”.

Se già non bastasse questa anomalia, a rendere la situazione tragicomica fino all’inverosimile, si è aggiunto un secondo paradossale evento: una comunicazio-ne del 27 maggio 2012 in cui la, cosiddetta, ‘Presidenza’, priva di ‘nomen agentis’! (di fatto l’ordinario di Filologia Italiana, Preside di facoltà e, ripeto, presidente della commissione del mio concorso, dopo aver ‘appassionatamente ’sotto-scritto il verdetto con cui è stata di fatto stroncata la mia carriera accademica (e non solo), mi faceva comunicare, dalla allora presidente dei corsi di laurea magi-strale, di “avere l’intenzione” (qui della serie: audite, audite) di (ri)affidarmi l’insegnamento di Filologia Italiana nientemeno che al corso di laurea magistrale!
Corso che, repetita iuvant, con sottolineatura, la sottoscritta, in qualità di ricercatore, ha svolto (al posto dell’ordinario) per la prima volta alla Università per Stranieri di Perugia, negli anni accademici 2003-2004 e 2004-2005 (sui temi: ”Filologia d’autore” e “Textual Bibliography) e che poi ha continuato a svolgere, per moduli, continuativamente negli anni successivi, fino alla primavera del 2010 (3 mesi prima dell’edificante concorso!). Nell’anno 2010 ha inoltre svolto, sempre da ricercatore, persino docenza per il Dottorato di ricerca in Scienze del Linguaggio (con seminario di “Filologia del testo tradotto”).
La sottoscritta si onora inoltre di avere inaugurato, ormai da anni, il primo corso di Filologia Italiana anche nel livello avanzato dei corsi per stranieri; tale corso, che, come facile immaginare, ha costituito una sfida professionale, è sempre stato frequentato con passione dagli studenti stranieri, fino all’agosto 2010. Tutto ciò senza ricevere mai alcuna valutazione di merito, se non l’indiscusso e oggettivo plauso degli studenti e dei dottorandi.
Nella comunicazione di cui sopra venivo addirittura invitata a rendere nota, con una certa sollecitudine, anche la mia eventuale presenza al Consiglio di corso di laurea magistrale.
Lo straordinario ‘cadeaux’ (che ha suscitato la ilarità, e non solo, di studenti e colleghi per non parlare di quelli stranieri!) costituisce la ‘ciliegina sulla torta’; avvelenata. (Queste solo alcune delle parole inviatemi da un’amica italiana: “Lau-ra cara… che scoop!!!……Non è che questa Università, per arrivare a farti queste 2 paradossali richieste stia rendendosi conto di ciò che ha perso con le sue scelte scriteriate? (…)

Si prendano carico degli sbagli commessi (…).
Tienimi aggiornata sugli ulteriori sviluppi di questa tragicommedia che chissà, azzarderei escludere sia giunta all’ultimo atto penso, anzi, ci si possano ancora aspettare risvolti dagli effetti speciali…).
Sono dapprima effettivamente rimasta basita, non sapendo se mi trovassi o meno su ‘Scherzi a parte’, ma era evidente che invece ero nella più ‘reale’delle realtà.
Amaramente ho ringraziato per ‘l’onore’ che mi veniva concesso, tramite comu-nicazione indiretta, nel tipico stile baronale gerarchico di coloro che ‘non devono chiedere mai’, e comunicato, a mia volta, che rinviavo la proposta al mittente, con un:
“NO GRAZIE”; in quanto ampiamente DISONORATA dalla ‘Presidenza’ stessa che dopo aver leso profondamente la mia dignità di docente qualificato e motiva-to, ora, forse colta da momentanea amnesia utilitaristica, ha dimenticava di avermi giudicata, soltanto 2 anni prima, non idonea alla cattedra di Filologia Ita-liana, indi tantomeno lo sarei stata per la didattica in un corso di laurea magistrale.
Ho fatto notare che non mi sembrava, né mi sembra, sussistano le condizioni perché io possa condurre un corso che essendo il più alto del percorso accademico dovrebbe per logica essere svolto dagli ordinari e che avrebbe potuto, in ogni caso, essere condotto, molto più adeguatamente e degnamente di me da uno dei due idonei vincitori del concorso in Filologia Italiana del 2010.
Ne conseguiva, e ne consegue, che non avrei partecipato, né parteciperò, a consigli di corso.
La risposta, in esteso, è stata e resta: “Non ho nessuna intenzione di assumere incarichi didattici, se non ove possa avere una autonomia decisionale nel programma e nel calendario; per il resto ho intenzione di continuare a condurre al meglio, e per quanto mi sarà possibile serenamente, la mia attività di ricerca in Italia e all’estero, ove il merito è riconosciuto e apprezzato nei fatti.
In modo irrevocabile, per tutto il dolore incancellabile, subito non solo personalmente ma anche da chi mi era accanto, e massimamente dal mio amato papà, è tassativamente esclusa qualunque mia attività che implichi una collaborazione con la persona di cui sopra; nella fattispecie con chi ha miseramente tradito un rapporto almeno per me fondato sulla totale fiducia e sull’assoluto rispetto.
Ho ribadito, come chiaramente scrissi al Rettore in risposta alle Sue condoglianze per la morte di mio padre, nella lettera del Gennaio 2011 (sopradetta e qui sotto riportata),
che non ho nessuna intenzione di cassare quanto è accaduto che è tutto indelebile nella mia memoria.
Il patto di fiducia che costituisce l’aspetto fondante del codice deontologico, sancito prima ancora che dallo Statuto universitario dalla coscienza di ogni essere umano, per ciò che concerne la mia collaborazione con l’ordinario di Filologia Italiana, è stato infranto e calpestato per sempre il 7 e 8 Luglio 2010”.

Dopo circa 2 anni dalla sceneggiata concorsuale è dunque avvenuta la edificante quadratura del cerchio, si è chiuso grottescamente il copione farsa in cui una miserevole realtà ha superato di molto ogni ipotesi fantastica.
Nella ricca graduatoria degli atti vili del sistema universitario italiano, la ordinaria potrà addirittura vantarsi di un probabile e forse imbattuto record: quello di essere riuscita a far sì che un ricercatore (per anni unico in Filologia Italiana presso la Università per Stranieri) lavorasse per lei in stand by per 16 anni (non di rado blandendolo con il suddetto titolo ‘onorifico’ di “ricercatore anziano” per conferirgli oneri più impegnativi), in attesa di un bando concorsuale dai tempi volutamente ‘biblici’; condurlo infine all’agognata meta per farlo fuori con una stretta di mano e, se non bastasse tornare a farsi viva, dopo due anni di totale cinico gelo, per fargli giungere notizia, della sua ‘caritatevole’ intenzione di ‘riconcedergli’, nientedimeno, che di lavorare al suo posto!
E’ evidente che al peggio non c’è mai fine, né alla vergogna.
Parafrasando Shakespeare (in maniera eufemistica) si potrebbe chiosare:
“UNRIPENESS IS ALL” in questa università dell’usa e getta.
Ad oggi purtroppo, come qualcuno acutamente presagiva, le stesse proposte di affidamento per la didattica ai corsi di laurea magistrale in Filologia Italiana sono state, ahimé, molte volte reiterate, ciò a dimostrazione evidente della ‘scarsa’ preparazione scientifico-didattica in ragione della quale alla sottoscritta non fu assegnata la cattedra!!! (e peraltro, cosa inaccettabile, senza alcuna spiegazione sul perché tale insegnamento non sia stato, e non sia tuttora, ricoperto da entrambi i candidati ritenuti idonei alla cattedra medesima).
A parte tali ‘offerte’ di incarico (che sono state regolarmente cassate) e a parte chiamate per ragioni totalmente estranee alle mie ricerche, i contatti con la università di appartenenza sono stati pressoché inesistenti. Nessuno (ad eccezione dei soliti affezionati colleghi) mi ha mai più contattato per ragioni di studio, ricer-ca ed eventuali progetti futuri di impegno accademico (peraltro anche proposti dalla sottoscritta, sin dal Luglio 2012 e più volte dissolti nel nulla).
All’indegnità e al ridicolo in ogni caso il tempo rende giustizia restituendo, al-meno moralmente, ciò che è stato negato.
Unica consolazione resta il non dover più rendere conto a nessuno di simili sog-getti, né più vivere sotto il ricatto di una speranza da essi puntualmente tradita.
La libertà e la consapevolezza che non abbiano più niente a che fare con la mia vita da sole sollevano lo spirito.
Ringrazio quegli ‘ordinari figuri’ che sono spariti dalla mia esistenza senza un cenno di partecipazione nemmeno per la morte di un padre; poiché se un tale dolore dapprima annichilisce poi rende consapevolmente più forti, poiché per niente e nessuno si è disposti a dimenticare la forza raccolta per affrontarlo. Il percorso del dolore rende anche più liberi poiché in grado di eliminare lucidamente la ‘zavorra’ di cui ci si è contornati.
Ringrazio gli immemori ingrati per avermi esonerato infine da inutili obblighi deontologici mostrandomi, al contempo, con la loro viltà, che erano mere, cupe comparse utili solo a mettere nella giusta luce, e per contrasto, il valore di chi ve-ramente merita il mio impegno leale e con cui continuare il cammino della vita.
La legge dantesca del contrappasso sarà infine lì a rendere a ciascuno ciò che ha ‘seminato’.

Considero il cammino scientifico fin qui intrapreso tristemente concluso, mio malgrado.
Non così il mio itinerario accademico e umano che, raccogliendo le forze, proseguirà seguendo altri percorsi, motivi di ricerca e finalità diverse, condivise dai miei studenti e forte, soprattutto, della loro stima.
A questo punto, percepisco come abbastanza anacronistica, ottusamente localistica e narrow minded, la precedente routine di ricercatore senza futuro e sono anche abbastanza stufa di avere come oggetto esclusivo dei miei studi e ricerche un maniacale tecnicismo spesso riflesso nel soliloquio di una didattica arida e autoreferenziale.
In fondo ci sono strade più affascinanti, per sé e per chi ascolta, che non continuare, cavillosamente, a rintracciare pidocchi cartacei, sia in senso proprio che figurato.

Quando penso al mio amato papà riecheggia nella mia mente e nel mio cuore il motto kantiano, espressione di libertà e di trascendenza: “Der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir “ (Il cielo stellato sopra di me e la leg-ge morale in me); col pensiero rivolto a lui, che teneramente mi chiamava “piccola….gutta cavat lapidem,”e con il suo aiuto continuerò a sperare; memore delle parole del menestrello Lucio Dalla: “la colpa piu’ grave…è lasciarsi morire”.
Cercherò faticosamente di tornare ad essere quello che infine sono da sempre stata:
piuttosto che un cane sciolto, un gatto globetrotter, senza padroni. Orgogliosa d’essere tale; libera di seguire, con l’antica passione, i miei sogni e i miei ideali.

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*-Lettera al magnifico rettore della Università per Stranieri di Perugia
Inviata in data 27 Gennaio 2011. (dopo 6 mesi dal concorso e 2 mesi dalla morte di mio padre).

Al Magnifico Rettore della Università Italiana per Stranieri di Perugia Prof. Stefania Giannini
e p. c. al Direttore del Dipartimento di Culture Comparate Prof. N. Cacciaglia
al Direttore del Dipartimento di Scienze del Linguaggio Prof. D. Gambini
al Presidente della SFLI Prof. G. Frasso
ai Soci della SFLI

Oggetto: Lettera aperta al Rettore
con allegato resoconto sui verbali del concorso
(L-FIL-LET/13)

Felix qui potuit rerum
Cognoscere causas.
(Virgilio, Georg. 2, 490)

Egregio Rettore,

Sinceramente La ringrazio per il biglietto autografo, con cui mi invia le sue “più sentite condoglianze anche a nome dell’Ateneo”, per la morte di mio padre [notaio Angelo Alcini, negli anni 80-90 stimato consigliere di amministrazione della Università per Stranieri – in qualità di Presidente della Camera di Commercio di Terni – ove lasciò il segno distintivo della competenza e del garbo fornendo un contributo di alto profilo culturale ed ideale riconosciutogli da autorevoli studiosi quali i professori G. Petrocchi, I. Baldelli, M. Pallottino, dei quali egli ricordava e conservava attestati di simpatia e sincera amicizia]. Sic transit gloria mundi. Tale messaggio di partecipazione mi induce innanzitutto alla constatazione che, tra i vertici universitari, Lei è stata l’unica voce, nell’indifferenza generale, a partecipare a questo mio immenso dolore. Sono tuttavia alquanto sorpresa nell’apprendere che, ancora il 20 dicembre, Lei niente sapeva del mio “grave lutto familiare […] la cui notizia non [Le] è stata comunicata da nessuna struttura interna o esterna all’Università per Stranieri”. Rimango basita per il cinismo che da tempo impera nella cosiddetta ‘Accademia’ italiana. Prendo atto che ad eccezione del direttore del dipartimento di Culture Comparate, di pochi colleghi (di cui due in pensione) e alcuni amministrativi, nessuno, tantomeno gli ‘squisiti’ docenti a me direttamente collegati (per ragioni di disciplina scientifica), abbia voluto scrivermi una ‘sincera’ parola di conforto. [E ciò, se non soprattutto, alla luce della amara mia vicenda concorsuale e della, ormai tristemente nota, ipocrita modalità in cui essa si è svolta].
Lei potrà immaginare quanto la morte di un genitore costituisca uno strappo definitivo; un dolore che annichilisce, tuttavia ancor più orrenda della morte è l’indifferenza o, peggio, il fariseismo ipocrita di sedicenti amici, ‘stretti’ colleghi o ‘maestri del nulla’.
Il suo messaggio mi dà dunque modo di inviarLe questa ‘lettera aperta’ e, al contempo, un resoconto per metterLa a conoscenza di quanto da tempo avevo previsto di comunicarLe, prima che l’angosciante evento della morte di mio padre paralizzasse del tutto la mia vita già notevolmente devastata dai fatti accaduti, in ambito accademico, lo scorso luglio e nei mesi successivi. Fatti ai quali è seguito un “silenzio assordante”.
Con il 2010 si è chiuso per me un annus horribilis che lascerà una ferita irrimarginabile, non solo nella mia anima ma anche nella mia stessa idea della ricerca universitaria e della deontologia profes-sionale.
Come Lei ben saprà, il 7-8 luglio 2010 si è svolta la cosiddetta procedura di valutazione comparativa, cioè il concorso, per un posto di professore associato in FILOLOGIA ITALIANA (L. FIL-LET/13), presso la Università per Stranieri di Perugia, università in cui io svolgo docenza dal 1983. Lei sarà altrettanto a conoscenza del fatto che l’unico candidato interno della Università per Stranieri a presentarsi per la disciplina suddetta, cioè la sottoscritta, è stato ritenuto non idoneo, alla associatura, da una commissione presieduta dalla persona dell’attuale Preside di Facoltà, nonché Vice-Presidente della Società di Filologia Italiana (SFLI), nonché titolare della cattedra di Filologia Italiana presso la stessa Università per Stranieri di Perugia, con cui la sottoscritta, ha collaborato in maniera continuativa dal 1993 (e per diversi anni in qualità di unico ricercatore nella materia suddetta).
In un clima di ‘apparente’ serenità e cordialità sono uscita con la gratificante consapevolezza di aver superato brillantemente le prove concorsuali previste, a cui, Le garantisco, mi ero dedicata anima e corpo. Avevo la fondata sensazione (attestata anche da alcuni testimoni presenti) di aver brillantemente superato sia la discussione dei titoli che la prova didattica, per me abbastanza ‘naturale’ data la ventennale esperienza ‘sul campo’. Invece il mio futuro accademico è stato ingiustamente e brutalmente stroncato, con un palese tradimento di un intero percorso di vita e di ricerca e con modalità a dir poco indecorose.
Le ali mi sono state tarpate nel mezzo del cammino della vita (età in cui è improbabile credere ragionevolmente a futuri avanzamenti di carriera), anche, se non soprattutto, con ‘pollice verso’ della suddetta Presidente di Commissione, mia auspicabile ‘supporter’, con la quale ho condiviso un cammino universitario di 16 anni basato sulla collaborazione leale, sulla dedizione appassionata alla ricerca e, principalmente, sul rigoroso impegno didattico, anche in sua vece (sic vos, non vobis).
Se questi sono coloro che hanno la missione di trasmettere i valori ‘umanistici’ della verità della memoria storica, c’è da compiangere i poveri destinatari di sì elevata e ‘sublime’ attività maieutica.“ A capite bona valetudo” recita Seneca.
La suddetta supposta ‘mentore’ mi ha buttato giù dalla barca come un clandestino, dopo aver procrastinato per anni (a differenza di quasi tutti gli ordinari di altre discipline anche linguistiche della nostra Università, Lei in primis) la richiesta di bando di concorso per associatura in Filologia Italiana; associatura più che necessaria e motivata, in considerazione anche della pesante attività didattica frontale da me costantemente svolta (fino a 250 ore, a dispetto dell’ufficiale carico orario previsto, dal ruolo di ricercatore), simultaneamente in corsi di laurea triennale, specialistica e di cultura italiana per stranieri, per lunghissimo tempo. Ora, a ritroso, visto il cinismo in cui tutto si è svolto, comprendo anche perché il posto di associato non fu bandito. Invece, temporeggiando, è stato messo ‘sub-condicio’ alla elaborazione di un lavoro scientifico ‘obbligatorio’; il quale lavoro, di rilievo internazionale, (nel caso specifico la prima edizione critica della traduzione italiana di una delle maggiori opere della letteratura europea) è stato poi ‘adeguatamente’ sminuito in sede concorsuale, (con l’illustre eccezione del Prof. Ciociola (ordinario della Scuola Normale di Pisa) che l’ha definita edizione “pregevole”). Va per altro sottolineato (senza necessità di spiegare cosa comporti l’elaborazione di una edizione critica di questa mole) che nessuna edizione critica (più o meno consi-stente) mi sembra appaia (mi corregga se sbaglio) nella produzione scientifica di alcun docente della Università per Stranieri, né ricercatore né associato (e neppure nel bagaglio bibliografico dello stesso ordinario di Filologia Italiana). Una maniera di tenere ‘al cappio’ la sottoscritta, ricercatrice, senza falsa modestia molto amata e stimata dagli studenti (certificazioni alla mano); mentre, utilitatis causa, si pensava o ci si occupava d’altro (e d’altri posti di concorso).
Purtroppo il mio amatissimo papà, figlio dell’idealismo post-guerra, fondato sui valori del meri-to e dell’onestà intellettuale, mi ha trasmesso un esagerato senso del dovere e del rispetto del prossimo, oltre misura. Ciò mi ha condotto a dare fiducia per troppo tempo a chi, senza alcuno scrupolo morale mi ha infine calpestata.
Ciò che è incancellabile nella mia mente è ‘l’ineffabile’ atteggiamento della suddetta persona che mi salutò alla fine delle prove concorsuali stringendomi la mano di sfuggita, con uno ‘sghembo’ sorriso di circostanza (col senno del poi, raccontando a mio padre del mio disappunto, ho rivisto il ‘film’ dei mesi precedenti quando non mi spiegavo perché mai venivo così tranquillamente e sistema-ticamente elusa: era evidente che già non servivo più!). Altresì l’atteggiamento di alcuni membri di commissione (uno in particolare) che, viceversa, con fin troppo cortese (e penso ‘imbarazzato’) interesse mi domandarono dei miei progetti futuri offrendomi consigli per Università e ricerche, anche in USA.
Salvo un sms pervenutomi dalla mia supposta ‘mentore’ dopo ben quattro giorni dalla chiusura delle prove e quando altri mi avevano data la ‘lieta notizia’ (che già circolava fuori dell’Ateneo, con le relative spiegazioni circa le ragioni ispiratrici del verdetto), sono stata e sono a tutt’oggi ignorata da chi ritenevo costituisse almeno un riferimento. Non so come altro definire tale comportamento se non, eufemisticamente, come miope opportunismo. Mi auguro di non dover mai più nella vita rivive-re una tale infamia e ora, come recita il Poeta, «non discorriam di lor ma guarda e passa».
Il mese di agosto è trascorso in totale abbandono e sconforto pur svolgendo regolare docenza di Filologia Italiana nei corsi estivi della nostra Università (non intendo parlare dell’enorme dispiacere che questa vicenda ha provocato nelle persone a me più care e principalmente a mio padre). Il 2 agosto ho fatto richiesta di anno sabbatico.
Il 22 settembre il Consiglio Accademico, da Lei presieduto, ha accettato (mi risulta, più o meno, all’unanimità) la mia richiesta di anno sabbatico per ricerca, in letteratura comparata, presso la Brown University – Rhode Island (prestigiosa università USA appartenente alla Ivy League), ove potrò approfondire i miei interessi comparatistici, nell’ottimo dipartimento di italianistica.
Spero, vista la attuale triste situazione familiare, di partire in primavera. (Peccato non averlo fatto 16 anni fa, buttando via anni di vita per seguire un illusorio percorso). Il Consiglio Accademico (e di ciò La ringrazio), ha dunque approvato la mia richiesta e il tema di ricerca, accordandomi ancora una volta quella fiducia che, sotto gli occhi di tutti (dei miei colleghi interni ed esterni e dei miei studenti), ho sempre onorato da quando svolgo ricerca e didattica alla Università per Stranieri di Perugia.
C’è stata in seguito soltanto una missione a Perugia per svolgere regolarmente gli esami di Filologia Italiana il 29 settembre 2010 (ciò avveniva in un’aula separata e sono stata totalmente ’scansata’ dall’esimio ordinario). In tale occasione gli studenti mi hanno regalato una giornata memorabile lasciandomi messaggi, anche scritti, indimenticabili che porterò sempre con me. Così si è concluso per me, ingloriosamente, l’anno accademico 2009-2010.
L’autunno è stato angosciante; il Natale ancora di più. Il mio amatissimo papà è morto il 23 no-vembre, accanto a me; senza che io abbia potuto regalargli quell’ultima gioia: il raggiungimento della tanto agognata cattedra che per anni aveva atteso insieme a me, partecipando con orgoglio ai miei traguardi e lavori (da ultimo la suddetta edizione del Paradiso Perduto di J. Milton costata 5 anni di fatica ed apprezzata dall’Accademia della Crusca, dalla British Library e dalla Library of Congress di Washington). Quella cattedra, che considero ‘scippata’, sarebbe stata il suo ed il mio orgoglio. Sebbene ormai quasi non vedesse più, mio padre ha voluto dettare a mia madre una lettera per celebrare quella vittoria che lui (come la maggior parte di chi mi conosce) riteneva meritata e onestamente guadagnata. Mai potrò dimenticare il suo volto rigato da una lacrima di rabbia per quella ingiusta sconfitta di cui, tra l’altro, ho appreso notizia in maniera indegna. Sapeva che moralmente avevo vin-to poiché troppo bene conosceva il ventennale impegno rigoroso e la mia ferrea volontà di superarmi.
Nessuno potrà mai defraudarmi della fiducia che, come dicevo, mi è stata per anni accordata principalmente dagli studenti i quali ancor oggi mi inviano giornalmente e-mail con attestati di stima che costituiscono il mio ‘tesoro’. Quella fiducia mi è stata viceversa negata con giudizio approvato dal Presidente di Commissione (Preside di Facoltà e ordinario di Filologia Italiana). Umiliante è stata in seguito la lettura degli atti concorsuali: vaghi, arbitrari, contraddittori e ‘sibillini’ nella notevole discrepanza nel merito.
Ovviamente non ho potuto (né voluto) ingaggiare alcuna battaglia legale poiché il verbale (che pure grida vendetta) come da copione, non presenta, come si suol dire in gergo legale, alcun ‘vizio di forma’. Sebbene ‘non impugnabile’, esso appare (come da più parti mi è stato autorevolmente fatto notare) posto al riparo da censure giuridiche, nella ‘improbabile, quanto poco credibile, negativa unanimità. [In maniera inversa, cioè con più di un parere discordante nella commissione, due mesi fa avuto esito del tutto opposto un concorso per professore ordinario nella stessa Università per Stranieri; così va l’università italiana!] Leggere il verbale della procedura è stato come riaprire una ferita già sufficientemente profonda. Nel resoconto allegato che Le invio ho evidenziato gli aspetti più anomali e contraddittori.
Chi ha spietatamente decretato questa ingiusta sentenza ha non solo leso la mia dignità e la mia immagine di rigoroso ricercatore e di appassionato docente ma anche dichiarato di fatto la mia ‘morte accademica’. Questa sfida infatti, considerata la mia età, non potrà più ripetersi e alla luce di que-sta ‘trappola’ non avrei più lo spirito né le forze. Ciò che è stato perpetrato, infine, è un danno morale definito efficacemente da una collega americana: «perpetuo».
Nessuno potrà mai risarcirmi della totale disillusione e del dolore di non aver potuto condividere con mio padre una vittoria guadagnata con onore.
Durante questi ultimi due mesi e in particolare dopo la morte di mio padre, la totale indifferenza ed ‘amnesia’ dei vertici universitari mi ha fatto sentire umiliata e abbandonata.
In tutta franchezza, Rettore, non meritavo questa pugnalata alle spalle.
Ora tutto e compiuto. Sono morta due volte ed è come se le fondamenta della mia vita, sia privata che professionale, si siano sbriciolate. Quel tradimento del tutto inatteso per le aspettative, razionali ed emotive, di lealtà oltre che per la fiducia erroneamente mal riposta, ha generato un senso di totale smarrimento e di vuoto assoluto, minando profondamente ciò in cui credevo.
I rapporti in precedenza istaurati, e in cui non mi riconosco più, non potranno mai più essere gli stessi; da qui in avanti niente potrà essere più come prima.
Desidero che Lei sappia che io (fortunatamente confortata dall’opinione di autorevoli studiosi) ritengo profondamente ingiusto e non condivisibile il verdetto emesso dalla sopracitata commissione (sia sotto il profilo scientifico che didattico).
Ergo considerato che chi mi ha più di ogni altro sfiduciato, cioè il Presidente di commissione (verso cui non nutro più alcuna fiducia), ricopre attualmente anche gli incarichi di vicepresidente del-la SFLI (Società dei Filologi della Letteratura Italiana), Preside di Facoltà e Ordinario di Filologia Italiana, sento fin d’ora il diritto-dovere di comunicarLe che sarà per me insostenibile sia l’idea di una futura ‘convivenza’ con la suddetta persona nella SFLI sia una qualunque collaborazione scientifico-didattica in ambito universitario, senza che la mia dignità, già ferita a morte, venga se possibile ulteriormente devastata. (Mi domando d’altronde con quale faccia e con quale dignità mi si potrebbe chiedere una collaborazione dopo aver agito in tal modo e senza aver avuto neanche un ‘sussulto’ di umanità di fronte alla morte di mio padre).
Ho un senso di gratitudine per quei colleghi, fuori e dentro la Università per Stranieri, che mi hanno da sempre dimostrato affetto e stima e per quelli tra loro che in questo doloroso momento mi stanno manifestando sincera solidarietà.
Ora che i nomi dei vincitori e gli atti del concorso sono pubblici ognuno potrà trarre le proprie conclusioni; ognuno risponderà alla propria coscienza. Io esco a testa alta da questa lacerante espe-rienza; non so se coloro che mi hanno giudicata possano in pace dire altrettanto.
Lei ricorderà il detto popolare: “il leone assalta i tori ma non le farfalle”. Sebbene così avvilita continuerò a svolgere il mio lavoro di ricerca per assoluto senso del dovere verso i miei studenti. Per i miei cari e in ricordo di mio padre che tanto orgoglioso era di me, pur piegata non mi spezzerò. Guarderò verso altri orizzonti e cercherò sostegno in lui che, da un’altra dimensione, mi trasmetterà la forza dei valori in cui ho fondato la mia vita: quelli della lealtà e dell’onestà intellettuale.

RingraziandoLa di nuovo,
cordialmente
ma con profonda AMAREZZA,

dott. Laura Alcini

Resoconto della dott. L. Alcini sui verbali della procedura di valutazione comparativa per professore associato in Filologia della Letteratura Italiana svoltasi presso la Università per Stranieri di Perugia, in data 7 – 8 Luglio 2010.*

Mi corre l’obbligo di sottolineare alcune evidenti anomalie che spiccano nel contenuto dei ver-bali del concorso per professore associato in Filologia della Letteratura Italiana svoltosi il 7-8 luglio 2010.

Sulle incongruenze e imparzialità nel verbale della prova discussione titoli.

Contraddittori appaiono alcuni giudizi sulla prova di discussione dei titoli (verbale n. 4, pag.3) espressi mediante ossimori, come ad esempio: «espone con qualche vaghezza e sufficiente padronanza …»; «la candidata illustra le linee che hanno guidato la sua variegata produzione. La presentazione […] rimane prevalentemente legata alla tematica della traduzione di testi letterari».
Poiché la voce ‘incongruenza’ ricorre, purtroppo, ad abundantiam nel giudizio dei commissari ri-guardo alla produzione scientifica della sottoscritta, dott. L. Alcini, vorrei far notare in proposito che:

  1.  paradossalmente colpisce, in maniera plateale, la palese incongruenza (questa si dei Commis-sari stessi!) tra i giudizi discretamente positivi sui miei titoli scientifici [verbale n. 2] e quelli riduttivi e banalizzanti sull’esposizione dei titoli stessi da parte della sottoscritta nella 1° pro-va concorsuale. [Della serie: “verba volant”!]. Quasi che quei titoli precedentemente descritti dai commissari, con meticolosa ‘acribia’ (per usare un termine fin troppo abusato e ricorrente nel retorico lessico di alcuni commissari), non fossero stati prodotti dalla candidata [la quale, tra l’altro, ma questo purtroppo non è ovviamente testimoniabile, ha consegnato prima del concorso, su richiesta, all’ordinario presidente, una scheda completa della descrizione dei suoi titoli, scheda che, guarda caso, corrisponde nei soli tratti positivi ai giudizi espressi dai commissari e soprattutto dalla presidente!].
  2. Nei suddetti giudizi sui titoli, formulati dai commissari nella valutazione propedeutica alle prove concorsuali (verbale n. 2), è comunque raramente e scarsamente evidenziata la originalità della edizione critica del Paradiso Perduto di Paolo Antonio Rolli, originalità che, poi, viene completamente occultata nel verbale della prova di discussione dei titoli [di nuovo: “verba volant”!]. Mi permetto di far notare che da parte della sottoscritta-candidata sarebbe stato alquanto autolesionistico non ribadirla (a meno che ella ‘non fosse in se’) visto che ne ha fatto il tema centrale del suo lavoro. Desidero qui precisare, se ce ne fosse bisogno, che ho sensatamente ed ampiamente, descritto il tratto principale del mio lavoro: cioè come elaborare un edizione critica di un testo bilingue. Ho ricevuto positivi riscontri di tale lavoro in riviste di rilievo come “Sei-Settecento”; da istituzioni di prestigio quali British Library, Boston Library e Accademia della Crusca; nonché attestati di merito di docenti di filologia, letteratura comparata e storia della lingua, italiani e stranieri (prof. M. Riva – dip. di Italianistica – Brown University-Usa).
    In proposito si evince tristemente come, con un criterio affatto comparativo, [due pesi e due misure?] proprio il presidente di commissione rimarchi come meritevole il fatto di essere una pubblicazione di un candidato «accolta dalla Accademia della Crusca» (verbale n. 2, pag. 12), mentre tralascia vistosamente di fare altrettanto con l’edizione critica del Paradiso Perduto della dott. L. Alcini, edizione ufficialmente inserita in catalogo dalla Accademia della Crusca [di cui la dott. L. Alcini possiede attestato elogiativo della Presidente della suddetta Accademia, prof. Nicoletta. Maraschio). L’edizione è stata inoltre inserita in catalogo dalla British Library, dalla BostonLibrari (oltre che nella Library of Congress di Washington – USA) e anche delle suddette biblioteche la candidata possiede attestati di stima.
    Colgo l’occasione (ormai peraltro VANA) per ribadire che il cuore di questo lavoro ecdotico consiste, in estrema sintesi, nell’aver tentato di individuare, con alcune probabilità di succes-so, l’edizione dell’originale inglese del Paradise Lost su cui il Rolli potrebbe aver effettuato la traduzione italiana. Il lavoro contempla dunque una puntuale analisi di entrambe le tradizioni testuali quella dell’originale miltoniano e quella del testo rolliano. In questo consiste il maggior pregio ed originalità di questa edizione, per fortuna apprezzata altrove (come attestano le note di merito sopra citate) e come la candidata ha ampiamente espresso nella sua discussione dei titoli, con una attenta descrizione misteriosamente ’scomparsa’ dagli atti! [Ancora: “verba volant”!] Ci si domanda perché questa lunga illustrazione, esposta in dettaglio dalla sottoscritta nella prima prova concorsuale, venga solo sbrigativamente descritta negli atti a verbale (cui prodest?).
    Sembrerebbe dunque che i commissari abbiano ‘scoperto’ loro stessi, nei titoli della dott. L. Alcini, ‘rari’ pregi ‘occulti’ che l’autrice stessa, dopo aver atteso per cinque anni a quel ponderoso lavoro non avrebbe saputo enunciare?
    Faccio presente, per inciso, di aver di recente svolto, solo nello scorso mese di aprile 2010, lezioni in un corso di dottorato sullo stesso tema e sull’opera in questione; queste lezioni (per cui ho ricevuto incarico dal Dipartimento di Scienze del linguaggio, dalla stessa Preside di Facoltà e dalla coordinatrice del dottorato) hanno riscosso un notevole apprezzamento da parte dei dottorandi (di cui conservo attestazioni scritte).
    Sempre riguardo all’originalità dei titoli in esame, soprattutto in considerazione della rilevanza, oggi evidente, del tema della comparazione letteraria a livello sia europeo che mondiale, vorrei avere il piacere di conoscere in cosa consisterebbe, viceversa, la supposta innovatività delle produzioni dei candidati ritenuti idonei.

Del dubbio sulla congruità dei titoli dei candidati ritenuti idonei col settore disciplinare L-FIL-LET/13.

Riguardo invece alla supposta congruità dei titoli dei candidati ritenuti idonei, vorrei conoscere dove sarebbe, di grazia, la congruenza con il settore scientifico-disciplinare (L-FIL-LET/13): Filologia della Letteratura Italiana, [così come espressa nella relativa declaratoria ministeriale], in particolare dei titoli del secondo candidato ritenuto idoneo, la cui produzione è per la gran parte, e con smaccata evidenza, afferente a tematiche ricomprese in altro specifico settore scientifico-disciplinare: quello di linguistica e filologia romanza. [Come peraltro precisato da tutti i commissari nel verbale n. 2].
Ricordo, solo a titolo informativo, che il settore disciplinare Filologia e Linguistica Romanza (L-FIL-LET/09), come precisamente recita la relativa declaratoria, comprende infatti «tutta la produzione scritta nelle lingue romanze» inclusa la linguistica «gallo-romanza, e provenzale /occitana)».
Ricordo inoltre che non risulta nella formulazione del MIUR affinità, nei due livelli previsti tra i settori disciplinari L-FIL-LET/13 e L-FIL-LET/09.
Viceversa risultano affini il settore di Filologia romanza con Lingua e Letteratura romena (settori in cui è preponderante la produzione del secondo idoneo) e il settore Filologia della Letteratura Italiana con Critica letteraria e Letterature Comparate (in cui è preponderante la mia produzione scientifica).

 

Della ‘sminuita’ congruenza, originalità e innovatività dei titoli della dott. L. Alcini con il settore disciplinare L-FIL-LET13.

A seguito del sopracitato truismo della affinità di primo livello tra Filologia della Letteratura Italiana e Letteratura Comparata, mi interrogo sulla malintesa supposta incongruenza (a questo punto ‘ovvia e prevedibile’) dei miei titoli col il settore L-FIL-LE/13, ‘incongruenza’ che ritengo, a ragione, infondata (consequenziale a quella forzatamente ‘calzata’ sul curriculum del secondo idoneo).
Avrei gradito, in proposito, conoscere per quale oscura ragione la problematica della edizione critica di testi bilingui (nella fattispecie traduzioni italiane di classici stranieri, ad opera di autori italiani) non potrebbe e/o dovrebbe rientrare negli studi di Filologia della Letteratura Italiana.
E se così fosse a quale raggruppamento, di grazia, la produzione scientifica della sottoscritta dovrebbe appartenere? La candidata, come suddetto, ha chiaramente illustrato, sia nelle prefazioni ai suoi lavori (principalmente nella premessa al Paradiso Perduto di P. A. Rolli) sia nella relazione sui propri titoli (durante la prima prova concorsuale), la peculiarità e l’originalità di tale studio. Cosa che è stata solo marginalmente considerata dai commissari, con evidente sperequazione a fronte della descrizione dettagliata delle peculiarità delle edizioni critiche effettuate dai due candidati ritenuti idonei, anche ove esse erano fuori tema concorsuale o ‘al margine’ (verbale n. 2). Ho affermato (sen-za che niente di tutto ciò traspaia dal verbale) e a lungo ribadito, nella discussione dei titoli, come, nella mia lunga esperienza didattica a studenti italiani e stranieri, io abbia potuto constatare come gli studenti seguano con particolare curiosità e interesse questo tema e come esso costituisca anche un argomento ‘trainante’ con l’oggetto più tecnico-scientifico della filologia, che ruota intorno all’edizione critica.
Vorrei sottolineare anche che tale studio riscuote grande interesse nelle Università straniere (cosa, mi sembra, affatto trascurabile nella attuale nuova prospettiva universitaria) e come, d’altro canto, esso dia modo di approfondire, nel contesto italiano, la tematica dei testi bilingui (antichi e moderni), più volte proposta come soggetto di ricerca nell’ambito della Società di Filologia della Letteratura Italiana (SFLI); anche dal suo Presidente.
Prendo altresì atto che autorevoli Ordinari, di una commissione di Filologia della Letteratura Italiana, tengano in così scarsa considerazione il laborioso lavoro editoriale che sottostà all’elaborazione della prima (e per ora unica) edizione critica della traduzione settecentesca, in lingua italiana del Paradise Lost; ovvero di una delle massime opere letterarie della letteratura occidentale (considerata in contesti stranieri pari alla Commedia dantesca).
Anche questo aspetto, anzi si può dire soprattutto questo, è stato totalmente ‘eclissato’ e, tanto meno, riportato a verbale.
Come in precedenza ho sottolineato la edizione critica viene (almeno bontà sua!) definita «pre-gevole» dal Prof. Ciociola [in sintonia con ordinari italiani di storia della lingua, di letteratura italiana e con lo staff di italianistica della Brown University].

Sulla contraddittorietà, arbitrarietà e discrepanza nel verbale della prova didattica.

Ambigui, arbitrari, contraddittori e riduttivi appaiono soprattutto i gravi giudizi espressi nel verbale n. 5 (pp. 1-2) riguardante la 2° prova (didattica), stridenti con i positivi giudizi espressi in precedenza, e anche paradossali, in considerazione della lunga attività di docenza della candidata. [Guarda caso, di nuovo della serie: verba volant!].
Ciò che appare più grave è che si sosterrebbe (con scarsa attendibilità) che la sottoscritta, in grado di produrre titoli di pregio (apprezzati in Italia e all’estero), nonostante abbia condotto un’attività scientifica degna di interesse, nonostante abbia svolto costantemente didattica per 16 anni in corsi di laurea specialistica, triennale e di dottorato e, non ultimo, sia stata relatrice di tesi di laurea in Filologia Italiana, nonché membro di commissione di concorso nel settembre 2008 (per il settore disciplinare L-FIL-LET/13), tale candidata non sarebbe, (per assurdo), stata in grado di svol-gere in maniera almeno decorosa una lezione su un tema base della Filologia quale: “la problematica dell’originale”.
Il verbale della prova didattica si chiude all’unanimità con un giudizio ingiusto e mortificante che costituisce la pagina nera di questa procedura concorsuale.
Una mannaia per il mio futuro accademico in quel settore disciplinare che scientemente si è vo-luto stroncare, in maniera brutale.
Nei suddetti giudizi che ritengo ingenerosi, sommari e volutamente ‘tranciant’, vengono inoltre posti rilievi ed obiezioni per nulla esemplificati gettando alla rinfusa supposte mancanze non circostanziate né riportate a verbale. Tale esagerato accanimento, oltre che mirato a far stravincere i due idonei (tutelando non a caso il loro lato più debole) appare anche, verosimilmente, come un veto su un eventuale (quanto, alla luce dei fatti, improbabile) futura carriera accademica della candidata, nel raggruppamento disciplinare L-FIL-LET/13.
Curiosamente nella valutazione delle mie pubblicazioni spicca, tra l’altro, nuovamente, la positiva valutazione del prof. C. Ciociola, sulle finalità didattiche, di un testo messo a punto dalla candidata proprio come docente di Filologia del Testo Tradotto e Teoria della Traduzione Letteraria. (verbale n. 2, pag. 3). Al prof. Ciociola (unico tra i commissari) forse non è sfuggito che tale manuale divulgativo, utile proprio per la sua impostazione didattica, è stato adottato in talune Università ed è citato in vari studi di teoria della traduzione letteraria italiani e stranieri. Fatto di nuovo ignorato dal resto della commissione. (Il mio ‘mentore’ in primis).
‘Fatalmente’, e al contrario, mediante una procedura assai poco comparativa, vengono illustrati analiticamente e con enfatica ripetitività i ‘supposti’ fattori di merito delle prove didattiche dei candidati ritenuti idonei (candidati dalla modesta e assai limitata esperienza didattica).
Ci si domanda che tipo di valutazione comparativa sia quella in cui, esclusivamente, nel tracciare i profili accademici di alcuni candidati (ma non di altri) si indulga in formule lessicali retoriche ed eccessive, ai limiti del personalismo [verbale n. 5, pag. 4]. Tale ridondanza appare pleonastica e di scarsa attinenza con una valutazione oggettiva dei candidati. Per neutralizzare l’indiscussa superiorità della lunga attività didattica della sottoscritta (di cui sono certificabili corsi; nominativi e valuta-zioni degli studenti) si è voluto artatamente ricorrere a tale ‘decapitazione’ del suo operato e curriculum didattico.
A questo proposito ritengo gravemente lesa la mia reputazione di docente rigorosa ed appas-sionata del suo lavoro, come peraltro attesta ‘farisaicamente’ e con manifesta ambiguità la stessa presidente di commissione ove scrive «la candidata illustra con passione e sufficiente chiarezza ….» (verbale n. 4, pag. 3).

Sui dubbi e interrogativi circa l’intera procedura concorsuale

Più volte nel curriculum vitae e in tutte le pubblicazioni presentate, la sottoscritta ha ribadito il proposito di voler approfondire un preciso filone di ricerca (che appare con evidenza originale e innovativo in ambito italiano): quello della filologia della letteratura tradotta; sottolineando che la prospettiva filologico-ermeneutica (intesa in senso Foleniano) costituisce il postulato teorico e la ‘stella polare’ dei suoi studi.
Si deve però tristemente constatare che tra i commissari c’è chi (perfino dalla prospettiva di un diverso settore disciplinare) con semplicistica ed involuta supponenza scrive: «una produzione, quella dell’Alcini, in cui spesso la metodologia filologica […] rischia di rimanere percorso affatto ‘tangenziale’ rispetto al privilegiato tema della teoria e pratica della traduzione letteraria che pure della acribia [sic!] filologica abbisogna, quando gode di un maturo addestramento.» (verbale n. 2 pag. 4). Si deve altrettanto tristemente constatare come la maggioranza dei commissari sorvoli scorrettamen-te su quello che è l’aspetto fondante di tutto il percorso scientifico-didattico della candidata liquidandolo con un giudizio scarsamente ‘illuminato’ (e alquanto ‘narrow-minded’).
Sarebbe stato opportuno allora rammentare fortemente alla commissione (e non è inutile farlo ora) che la teoria su cui si fonda la ricerca e la produzione della sottoscritta è, principalmente ascrivi-bile ad uno dei massimi filologi della letteratura, qual’è Gianfranco Folena. Varrebbe la pena citarlo: «in principio fuit interpres» (Volgarizzare e tradurre); o forse gli esimi commissari nutrono dei dubbi sul fatto che gli scritti teorici del Folena siano degnamente collocabili nel settore disciplinare denominato Filologia della Letteratura Italiana (L-FIL-LET/13)?
Miope si rivela dunque la concezione ‘restrittiva’ di un iperfilologismo con cui, in modo ondivago, si nega a qualcuno l’appartenenza al settore disciplinare salvo poi allargare elasticamente lo stesso ‘a più ampi confini’, (alla maniera di una coperta che si tira ove si vuole), quando necessita giustificare le pur valide produzioni scientifiche dei candidati fatti idonei.
Totalmente ignorato e cassato nel verbale, per l’infinita serie “verba volant”, (e, ovviamente, non testimoniabile) è inoltre un aspetto della lezione didattica che tanto a cuore stava alla sottoscritta poiché più volte, tra l’altro, affrontato in classe con gli stessi studenti e fonte di dibattito costante nelle ripetute e pressoché inutili riunioni (italian style) con i docenti ed emeriti ordinari di settore.
Si tratta del ‘vitale’ problema, da me posto quale protasi della prova didattica (2° prova concorsuale), della divulgazione: cioè del come veicolare, ‘far passare’, nozioni non esattamente sempli-ci, in ambito didattico; pena la stessa sopravvivenza accademica di discipline particolarmente complesse come la Filologia (i cui fondamenti si rifanno a presupposti storico-scientifici precisi e sono formulati mediante un lessico settoriale di origine greco-latina).
Problema che, come ben conosce chi (pur da ricercatore) opera costantemente ‘sul campo’, è all’ordine del giorno specie nell’attuale contesto universitario italiano ridotto spesso a sterile labora-torio teorico autoreferenziale, privo di considerazione per il rapporto umano con i discenti. A tal proposito mi permetto di ricordare che la sottoscritta, docente di Filologia italiana anche nel corso avanzato di lingua e cultura italiana della Università per Stranieri di Perugia, è stato il primo docente a sperimentare e condurre tale complesso insegnamento, di cui è tutt’oggi docente, in un contesto di didattica rivolta ad un’utenza non italiana (con successo comprovato dai giudizi di studenti e docenti stranieri).
Che fini esperti di medievistica si ispirino nelle loro valutazioni concorsuali a rigidi, quanto anacronistici, principi elitari di approccio didattico, di certo, a mio avviso, non costituirà la via strategica per una sopravvivenza accademica della didattica della filologia della letteratura (italiana o straniera).
Anche tutto ciò scompare, dal verbale come neve al sole.
Ancor più provinciale e priva di lungimiranza (anche alla luce dell’avvento dei cosiddetti ‘ma-crosettori’ universitari contemplati nella nuova riforma) è la sottovalutazione di una filologia della letteratura comparata che ‘potrebbe dare ossigeno’ ad una disciplina per la quale non sembra prospettarsi (purtroppo visti i tempi) un futuro brillante. Peccato! Approfondirò l’argomento in ambienti un pò più ‘open minded’.
Alla sottoscritta rimane infine un amaro interrogativo: perché dopo 16 anni di tanto studio e di rapporto accademico fiduciario, basato sulla stima reciproca ed il rispetto umano, l’ordinario di filo-logia italiana della Università per Stranieri, presidente di commissione, e gli emeriti studiosi del settore disciplinare L-FIL-LET/13 abbiano voluto fare strame di lei e darle il benservito infierendo così con una stroncatura esagerata e con giudizi ingenerosi e rudimentali assai poco confacenti a dei filologi, per definizione amanti dello stile (si spera anche nella vita). Di nuovo: cui prodest?
E ancora, se la candidata risultava ‘etimologicamente deficiente’ nella didattica, perché le sa-rebbero stati affidati per anni incarichi di rilievo, a partire dall’insegnamento di “Filologia del Testo a Stampa” nel primo corso di laurea magistrale attivato alla Università per Stranieri e svolto al posto dell’ordinario? La domanda, puramente retorica, rimarrà forse vana e ancor più la risposta, essa sorge tuttavia spontanea e contribuisce a rendere l’intera storia risibile e grottesca. Purtroppo è la vita a non esserlo.
Non peregrino potrebbe essere il sospetto che ‘tagliando la testa’ della candidata proprio nella valutazione didattica (ahimé verba volant per definizione!) si siano favoriti altri candidati che avevano poca o nulla attività didattica.
Riassumendo e attenendomi semplicemente ai fatti, mi permetto di ricordarLe, che a partire dal 1983 e fino all’agosto 2010 (sebbene in veste di ricercatore) ho svolto nella Università per Stranieri i seguenti ruoli di docenza e altre attività accademiche:

- Corsi di lingua italiana e traduzione letteraria dall’inglese all’italiano nei corsi avanzati per stranieri dal 1983 al 1993.
– A partire dal 1993 (anno della vincita del concorso nazionale per ricercatore): Corsi di Storia della lingua Italiana; corsi di Filologia Italiana (con seminari specifici su “traduzione letteraria e filologia”) nei corsi di laurea triennale, specialistica e nei corsi avanzati per stranieri.
– Corso di Letteratura comparata nei corsi di laurea specialistica. Penso a tal proposito che Lei ricorderà, Rettore, la lettera da me a Lei inviata nel giugno 2005 quando, in vista dell’attivazione dell’insegnamento di Letteratura Comparata nei corsi di laurea specialistica (LISCON/ITICI) della nostra Università, io presentai domanda di affidamento in considerazione del fatto che la mia produzione scientifica era principalmente orientata sulla filologia del testo tradotto e della letteratura comparata. Allora avevo da poco seguito una tesi, condotta brillantemente da una studentessa giapponese, sulle traduzioni giapponesi del Cantico delle Creature. L’insegnamento mi fu affidato; la materia riscosse molto successo tra gli studenti, seguirono altre tesi, ma, se ricorda, esso mi fu (alla solita maniera italiana) sottratto per essere affidato ‘regolarmente’ (a dispetto delle competenze e del merito) ad un associato (mentre in perenne attesa io attendevo almeno il bando di concorso), con grande rammarico ‘apparente’ dell’attuale Preside.
– Sono stata relatore di tesi di laurea triennale e specialistica di Filologia Italiana, anche in col-laborazione con l’ordinario della disciplina suddetta.
– Sono stata (su proposta del Preside di facoltà) tutor per gli studenti dei corsi di laurea triennale e rappresentante in diversi consigli di ambito accademico.
– Nell’aprile 2010 (cioè tre mesi prima della infelice vicenda concorsuale) ho svolto con docu-mentato successo (attestato sia da entrambi i dottorandi sia da colleghi presenti alle lezioni, nonché dalla presidente del dottorato) lezioni di dottorato sul tema (tra l’altro molto apprezzato dai dottorandi): “Edizione critica del testo tradotto”.
– Last but not least, nel settembre 2008, sono stata membro di commissione, per un concorso di ricercatore (Presidente di Commissione il Presidente della società di filologia italiana) svoltosi nella Università di Sassari; gli atti di tale concorso e relativi pareri e giudizi espressi dalla sottoscritta e dalla Commissione sono attualmente consultabili in internet nel sito della medesima Università di Sassari.

Con profonda amarezza devo constatare che tutto ciò è stato infine ritenuto insufficiente ad una idoneità per associato.
Il tempo e la verità dei fatti saranno buoni giudici. In fondo la filologia è (per etimologia e non solo) scienza dell’amore della parola, della verità. E del dubbio.

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* Tale resoconto, a completamento della lettera precedente, è stato inviato al Rettore della Uni-versità per Stranieri, ai direttori dei dipartimenti di Scienze del Linguaggio e di Culture Comparate, al Presidente e ai soci della SFLI (Società di Filologia della Letteratura Italiana).
Non ho mai ricevuto cenno di risposta, formale o informale e/o chiarimento alcuno